La tenerezza e le carezze
Ma se oggi qui da noi, in questo crepuscolo tormentato del secolo ventesimo, le botteghe artigiane sono pressoché sparite non è solo perché non si genera più e neppure perché non si ripara più nulla. È perché non c'è più tempo per la carezza. Mi spiego! Vedi Giuseppe, da quando sono entrato nella tua bottega, quante carezze non hai fatto su quel legno denudato dalla pialla! Tutte le volte che l'hai strisciato con il ferro, subito vi sei passato sopra con la mano, leggera come la luce che trema sulle acque: non saprei bene se per proteggerne la verecondia; o per velargli, un attimo appena, la bianca intimità; o per compensare con un gesto di tenerezza il trauma della violenza. E anche ora, mentre ti parlo, passi e ripassi con le dita sugli spigoli smussati dallo scalpello, e ne levighi le asprezze, col medesimo amore con cui la pecora madre asciuga con la lingua l'agnello appena nato. Poi cicatrizzi le ferite del legno, provocate dal trapano e dai chiodi, con gli stucchi, canforati come unguenti d'Arabia. Vi stendi sopra il balsamo delle vernici, che impregnano l'aria d'un acre profumo, e continui a blandire con la colla gli assi di faggio che ora luccicano come uno specchio. Quante carezze: con le palme della mano, con i pennelli, con le spatole, con gli occhi. Sì, anche con gli occhi, perché, ora che hai finito una culla, sei tu che non ti stanchi di cullarla con lo sguardo. Oggi purtroppo da noi, non si carezza più, si consuma solo...
Dimmi, Giuseppe, quand'è che hai conosciuto Maria? Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con l'anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso? O forse un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di Nazareth conversava in disparte, sotto l'arco della sinagoga? O forse un meriggio d'estate, in un campo di grano, mentre abbassando gli occhi splendidi, per non rivelare il pudore della povertà, si adattava all'umiliante mestiere di spigolatrice? Quando ti ha ricambiato il sorriso e ti ha sfiorato il capo con la prima carezza, che forse era la sua prima benedizione e tu non lo sapevi? E la notte tu hai intriso il cuscino con lacrime di felicità. Ti scriveva lettere d'amore? Forse si! E il sorriso con cui accompagni il cenno degli occhi verso l'armadio delle tinte e delle vernici mi fa capire che in uno di quei barattoli vuoti, che ormai non si aprono più, ne conservi ancora qualcuna! Poi una notte hai preso il coraggio a due mani e sei andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e di menta e le hai cantato sommessamente le strofe del Cantico dei Cantici: "Alzati amica mia, mia bella e vieni, perché ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato, e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico ha messo fuori i primi frutti e le viti fiorite spandono fragranza. Alzati amica mia, mia bella e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tuia voce, perché la tua voce è soave e il tuo viso è leggiadro. E la tua amica, la tua bella si è alzata davvero, è venuta sulla strada, facendoti trasalire, ti ha preso la mano nella sua e mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto. Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Jahvè. Di un angelo del Signore. Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Di un progetto più grande dell'universo e più alto del firmamento che vi sovrastava. Poi ti ha chiesto di uscire dalla sua vita, di dirle addio e di dimenticarla per sempre. Fu allora che la stringesti per la prima volta al cuore e le dicesti tremando: "Per me, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria, purché mi faccia stare con te". Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente. Spero che dietro quegli assi di castagno appoggiati alla parete non ci sia nascosto qualche rabbino, esperto di teologia, se no troverà anche lui un buon capo d'accusa per deferirmi davanti all'"arcisinagogo"! Ma io penso che hai avuto più coraggio tu a condividere il progetto di Maria, di quanto ne abbia avuto lei a condividere il progetto del Signore. Lei ha puntato tutto sull'onnipotenza del Creatore. Tu hai scommesso tutto sulla fragilità di una creatura. Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più speranza.
DON TONINO BELLO